La Corte d’Appello di Lecce ha condannato un istituto di credito al risarcimento delle eredi di un correntista deceduto, riformando in parte la decisione del Tribunale. Secondo la sentenza n. 859/2025, la banca non fornì alle due donne informazioni adeguate sui rischi delle 30.461 azioni ereditate dal padre, né sul loro diritto alla liquidazione immediata dei titoli previsto dallo statuto sociale.
Secondo quanto accertato nella sentenza, le azioni al centro della controversia presentano caratteristiche di estrema illiquidità. Al momento della successione – avvenuta nel 2011 – le eredi scelsero di diventare socie, ma la Corte ha rilevato che tale decisione fu presa senza una reale conoscenza della natura illiquida e ad alto rischio dei titoli. Il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), disposto dalla Corte per valutare la natura dell’investimento, ha chiarito che si tratta di titoli non negoziati né su mercati regolamentati né su sistemi multilaterali di negoziazione (MTF). L’unica sede di scambio possibile risultava infatti essere la stessa società emittente, circostanza che rende la vendita delle azioni di fatto complessa, incerta e totalmente dipendente dalla volontà dell’istituto.
Il CTU ha concluso che tali strumenti finanziari sarebbero stati appropriati esclusivamente per investitori dotati di elevata competenza ed esperienza finanziaria, capacità non riscontrabili nei risparmiatori coinvolti, come emerso anche dall’analisi del questionario informativo previsto dalla normativa MiFID.
La Corte ha rilevato un’ulteriore criticità nell’eccessiva concentrazione del patrimonio dei risparmiatori proprio su queste azioni, una scelta che ha significativamente aumentato il rischio dell’investimento e che avrebbe dovuto indurre la banca a un comportamento di maggiore prudenza.
La mancata valorizzazione del profilo finanziario dei clienti è stata considerata una violazione dei principi di correttezza, buona fede e diligenza professionale. L’istituto, secondo quanto stabilito dai giudici, avrebbe dovuto astenersi dal collocare tali strumenti presso un pubblico retail privo delle necessarie conoscenze e consapevolezze.
La banca non ha adempiuto nemmeno ai suoi obblighi informativi nei confronti degli eredi dei risparmiatori deceduti, ai quali non sarebbe stata rappresentata la possibilità di richiedere la liquidazione del capitale, alternativa all’ingresso come soci. L’omissione ha impedito agli eredi di compiere scelte consapevoli, esponendoli agli stessi rischi degli originari investitori.
Alla luce delle risultanze tecniche e dell’inadempimento informativo accertato, la Corte d’Appello ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla sottoscrizione delle azioni illiquide. L’investimento è stato qualificato come inappropriato, e la banca ritenuta responsabile per averlo venduto a soggetti non adeguati.
Una sentenza che fa scuola
La pronuncia della Corte d’Appello di Lecce si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che tutela sempre più decisamente i diritti dei piccoli risparmiatori di fronte a operazioni bancarie ad alto rischio mascherate da investimenti sicuri.
La sentenza rappresenta un importante monito nei confronti degli istituti di credito: gli obblighi informativi e di valutazione dell’adeguatezza non sono meri adempimenti formali, ma pilastri fondamentali a protezione dei cittadini e della stabilità del mercato.